Inizia a parlare lei “Abbiamo questo vizio del mangiare…”
La sua voce è morbida, delicata. Un po' più di un sussurro.
“Eh… Sì, cerchiamo le cose buone…”
“Ma ci potrebbero dare quelle pillolette che danno agli astronauti, sa quante seccature risparmiate…”
“È così bello preparare le cose buone…” mi interrompe subito “Una volta! Io sono sola, è triste mangiare sempre soli!”
I suoi splendenti capelli bianchi, ben curati, adagiati come onde morbide sul contorno del suo viso. Gli occhi chiari lucidi ma allegri nonostante quell’espressioni di un attimo prima e la sua bella pelle liscia tradisce la sua età. Il suo sorriso mi meraviglia. Le sue lunghe dita e nodose di anziana Signora poggiate sul mio braccio mi catturano. Una bella signora, elegante, dritta come un fuso. E iniziamo a parlare. La Signora del banco della verdura ci guarda, non interrompe le nostre parole, segue la conversazione in silenzio, ascolta i nostri sorrisi con la discrezione di chi comprende un momento speciale. E noi parliamo. “Anche io sono sola ma non rinuncio al gusto dei sapori, all’idea di scegliere cosa mettere in tavola…”. “Sono di Trieste e ho ottantotto anni…”. “Ottantotto…! Ma complimenti, non lo avrei mai detto! È bellissima!”. “È una meraviglia. Non deve rinunciare, non deve mai rinunciare!”. “Lei è una meraviglia… la vita, le esce dagli occhi.”. Catturata dalla sua dolcezza avrei voluto continuare a parlare, le persone dietro di noi diventavano impazienti, non avevano il tempo dilatato come noi che forse abbiamo capito l’importanza di fermarsi un attimo.
Mi torna in mente così la mia scelta di tanti anni fa, eravamo nel 2009, e correvo, correvo per arrivare tutti i giorni a compiere quelle azioni, raggiungere quei piccoli obiettivi che riempivano il mio tempo, senza tralasciare mai nulla. Mi resi conto che ero diventata vittima dell’orologio, che ogni attimo della mia giornata era scandito dall’occhiata a quel quadrante per vedere, sincerarmi, del tempo giusto e del tempo che ancora avevo. In un affanno costante. E la sera ero sfinita, consumata, in poltrona davanti a una televisione che nemmeno ascoltavo. Produceva un rumore che mi dondolava ma nulla più. Ho deciso di eliminare quella calamita che mi centellinava il tempo, che mi teneva sotto scacco. Il ragionamento è stato banalissimo: il tempo è quello, di più non è davvero possibile. Dove arrivo metto il punto! Non voglio il grillo parlante che mi urla di correre più forte. Ho, così, abbandonato, eliminato, chiuso in un cassetto l’orologio. Non gli ho più dato importanza. E ho iniziato lentamente a respirare di nuovo, nel modo dovuto. E il tempo bastava, a volte avanzava, mi rilassavo e respiravo. Avevo ritrovato il ritmo, il mio ritmo. Per anni non ho più portato l’orologio, godevo tantissimo di questa mia scelta, mi restituiva la libertà della quale ero diventata orfana. Non ero più sola, avevo il mio tempo. Oggi lo indosso di nuovo, per una scelta affettiva. È l’orologio di mia mamma. Un pò come averla in una carezza, in un abbraccio. Mi consola. Ma ho scoperto il tempo dilatato e trovato i momenti che perdevo nella fretta di vivere. Toglieva il senso la fretta, comprimeva le emozioni. Ora sono distese, le mie emozioni, nel mio tempo dilatato; le vedo, le vivo, mi nutrono. Così la dolce Signora del mercato. Peccato non averle chiesto come si chiamava, il nostro discorso era sentimento e la curiosità del nome ha perso importanza. Siamo rimaste noi due, io e lei, in mezzo al vociare, diventato silenzioso, di mille persone, davanti a una distesa di verdure freschissime; la Signora del banco assorta, tacitata nei nostri sguardi, ad accarezzarci il cuore per un momento.
Dalla Rubrica L’Indiscreta di Luisanda Dell’Aria
Roma 24 maggio 2022
La sua voce è morbida, delicata. Un po' più di un sussurro.
“Eh… Sì, cerchiamo le cose buone…”
“Ma ci potrebbero dare quelle pillolette che danno agli astronauti, sa quante seccature risparmiate…”
“È così bello preparare le cose buone…” mi interrompe subito “Una volta! Io sono sola, è triste mangiare sempre soli!”
I suoi splendenti capelli bianchi, ben curati, adagiati come onde morbide sul contorno del suo viso. Gli occhi chiari lucidi ma allegri nonostante quell’espressioni di un attimo prima e la sua bella pelle liscia tradisce la sua età. Il suo sorriso mi meraviglia. Le sue lunghe dita e nodose di anziana Signora poggiate sul mio braccio mi catturano. Una bella signora, elegante, dritta come un fuso. E iniziamo a parlare. La Signora del banco della verdura ci guarda, non interrompe le nostre parole, segue la conversazione in silenzio, ascolta i nostri sorrisi con la discrezione di chi comprende un momento speciale. E noi parliamo. “Anche io sono sola ma non rinuncio al gusto dei sapori, all’idea di scegliere cosa mettere in tavola…”. “Sono di Trieste e ho ottantotto anni…”. “Ottantotto…! Ma complimenti, non lo avrei mai detto! È bellissima!”. “È una meraviglia. Non deve rinunciare, non deve mai rinunciare!”. “Lei è una meraviglia… la vita, le esce dagli occhi.”. Catturata dalla sua dolcezza avrei voluto continuare a parlare, le persone dietro di noi diventavano impazienti, non avevano il tempo dilatato come noi che forse abbiamo capito l’importanza di fermarsi un attimo.
Mi torna in mente così la mia scelta di tanti anni fa, eravamo nel 2009, e correvo, correvo per arrivare tutti i giorni a compiere quelle azioni, raggiungere quei piccoli obiettivi che riempivano il mio tempo, senza tralasciare mai nulla. Mi resi conto che ero diventata vittima dell’orologio, che ogni attimo della mia giornata era scandito dall’occhiata a quel quadrante per vedere, sincerarmi, del tempo giusto e del tempo che ancora avevo. In un affanno costante. E la sera ero sfinita, consumata, in poltrona davanti a una televisione che nemmeno ascoltavo. Produceva un rumore che mi dondolava ma nulla più. Ho deciso di eliminare quella calamita che mi centellinava il tempo, che mi teneva sotto scacco. Il ragionamento è stato banalissimo: il tempo è quello, di più non è davvero possibile. Dove arrivo metto il punto! Non voglio il grillo parlante che mi urla di correre più forte. Ho, così, abbandonato, eliminato, chiuso in un cassetto l’orologio. Non gli ho più dato importanza. E ho iniziato lentamente a respirare di nuovo, nel modo dovuto. E il tempo bastava, a volte avanzava, mi rilassavo e respiravo. Avevo ritrovato il ritmo, il mio ritmo. Per anni non ho più portato l’orologio, godevo tantissimo di questa mia scelta, mi restituiva la libertà della quale ero diventata orfana. Non ero più sola, avevo il mio tempo. Oggi lo indosso di nuovo, per una scelta affettiva. È l’orologio di mia mamma. Un pò come averla in una carezza, in un abbraccio. Mi consola. Ma ho scoperto il tempo dilatato e trovato i momenti che perdevo nella fretta di vivere. Toglieva il senso la fretta, comprimeva le emozioni. Ora sono distese, le mie emozioni, nel mio tempo dilatato; le vedo, le vivo, mi nutrono. Così la dolce Signora del mercato. Peccato non averle chiesto come si chiamava, il nostro discorso era sentimento e la curiosità del nome ha perso importanza. Siamo rimaste noi due, io e lei, in mezzo al vociare, diventato silenzioso, di mille persone, davanti a una distesa di verdure freschissime; la Signora del banco assorta, tacitata nei nostri sguardi, ad accarezzarci il cuore per un momento.
Dalla Rubrica L’Indiscreta di Luisanda Dell’Aria
Roma 24 maggio 2022