E se sei felice e tu lo sai batti le mani…
Abbi Cura Di Te
Luisanda Dell’Aria
Roma 29 gennaio 2023
https://luisanda-dellaria.weebly.com/
I social sono mezzi potentissimi di comunicazione, milioni di persone pigiano freneticamente e continuamente sulla tastiera la propria vita, frammenti di vita, attimi riversati all’improvviso. Frasi, fotografie, vignette, che in quell’istante ritrovano il proprio sentire. Lanciate come una bottiglia in mezzo al mare a voler dire qualcosa. A volte, non sappiamo bene cosa veramente vorremmo dire, oltre il desiderio di apparire, di catturare like, di arrivare al “sogno” di diventare virali. Convinti e contenti di avere un posto dove giocare anche da adulti, distratti dalla loro potenza che non riconosciamo e non usiamo. Nascosti dietro uno schermo quando qualcosa di diverso fa capolino e cerca invece di parlare, di dire… Acchiappa argomenti spinosi e li mette in bella vista con il desiderio di smuovere attenzione, condivisione, comunanza; di provare a uscire dal pantano dell’indifferenza anche solo con il naso; di sbirciare fuori la coltre di leggerezza e banalità. E quello scritto diventa origliato o semplicemente scavalcato. Se viene anche solo origliato è già un risultato. Leggere è un risultato. Scovare nell’immenso braciere letture interessanti sulle quali è bello soffermarsi è un talento che bisogna allenare. E anche il desiderio dobbiamo allenare, il desiderio di essere curiosi, di fare domande, di cercare risposte, di fermarsi ad ascoltare. Sono mezzi potenti, ne possiamo fare ciò che vogliamo, dipende da noi finire nel grande braciere perché abbiamo un gelato in mano, stiamo addentando una pizza o sorseggiando un aperitivo oppure… L’una strada non esclude l’altra ma è la moltitudine di gelati che fa arricciare il naso e lascia sorrisi sbieghi. Chi scrive, chi ama scrivere, scrive e basta. Non si preoccupa di piacere o non piacere. Certo è bellissimo e gratificante essere letti ma il piacere dello scrivere risiede unicamente nella scrittura stessa e nel desiderio di lasciare libera la penna. Nel grande braciere esistono regole alle quali bisognerebbe sottostare per raggiungere tanti utenti. Ma il numero di follower è davvero così importante? O vale più chi ti segue per quello che sei e che scrivi e non per quello che vogliono farti essere? Le domande sono lì tronfie davanti a me. Le guardo, le scruto. La libertà che mi prendo è restare fuori schemi prefissati del troppo lungo, troppo corto. La libertà che si prende chi incappa in me è leggere o non leggere. Corro il rischio. È più importante scrivere. È più importante esprimersi. È più importante tentare di confrontarsi. Mi capita di leggere post lunghissimi e bellissimi e post corti orrendi, scritti male, non riletti, zeppi di errori. Picchiamo sulla tastiera e lanciamo… Senza un attimo di indecisione ci tuffiamo nella ipotetica fragrante zuppa dei like. E il nostro ipotetico lettore? A lui quando pensiamo? Se non rileggiamo prima di pubblicare di lui non ci importa niente e stiamo togliendo anche valore al nostro scritto. Ma se non ci importa niente del nostro lettore da lanciare frasi sconnesse e disarticolate condite di gelati, pizze e aperitivi, perché le lanciamo?
E se sei felice e tu lo sai batti le mani… Abbi Cura Di Te Luisanda Dell’Aria Roma 29 gennaio 2023 Raccolgo l’appello, ne comprendo la paura, ne comprendo l’urlo. Deve essere drammatico, la parola non lo esprime nella sua potenza, pensare che la memoria di quel che è stato possa finire nascosta nelle pieghe di una stanchezza ingiustificabile. Lo raccolgo l’appello e, come al solito scrivo, scrivo nella speranza che l’eco dell’urlo di Liliana Segre possa essere raccolto da tutti, da molti, da qualcuno… con la penna in mano, con le parole nella testa, con il cuore che sanguina ancora per quel che è stato: la Shoah. Non l’ho vissuta, sono nata dopo, ho sessant’anni. Ma in casa mia se ne è parlato tanto. Mia nonna raccontava tanto. E, da ragazza, ho iniziato a leggere, studiare, cercare nei primi cenni della storia di capire, di conoscere. Ho letto tanto. Ho visto tanti documentari. Ho studiato. Non ho capito. Non si può capire. È successo, non deve succedere mai più. Non si può dimenticare. Non si può correre il rischio di dimenticare l’orrore. Non si può provare stanchezza nel trasmettere la storia di quel che è stato. L’orrore che ha attraversato l’Europa e l’Italia ed è ancora così vicino nel tempo da faticare a diventare storia da studiare, non lo possiamo dimenticare. Avevo ventisette anni la prima volta che sono entrata in un Campo di Concentramento, in Germania, a Dachau. Sensazioni travolgenti, difficili da raccontare. Attaccate alla pelle. Il silenzio che avvolgeva il campo rimandava un rumore stordente, violento, abbacinante. Non riuscivo a muovermi, prigioniera del timore di oltraggiare i morti. Io, visitatore, di un luogo di sterminio, mi sentivo usurpatore della loro sofferenza, della loro paura. Camminavo nello stesso luogo, il terriccio, lo stesso, accoglieva i miei piedi, gli occhi vedevano oltre quel vuoto che appariva. Era come sentire, respirare la disperazione ma sapere di poter uscire fuori, di essere “solo” un visitatore di morte. Loro no. Ogni cosa che avevo letto, studiato, visto, aveva preso vita, era diventata una realtà accecante. Mi ha trafitta, lacerata. Sono stata malissimo. Continuavo a leggere, studiare, vedere documentari, films, ascoltare per conoscere, per non dimenticare, per avere la forza di fermare la mano, la parola di chi si è stancato, di chi non sa andare oltre o è andato troppo oltre e non vede più niente se non sé stesso. No, non si può correre il rischio di dimenticare, di rinchiudere nei remoti della memoria la realtà di quegli anni. Raccolgo l’urlo di Liliana Segre perché correre il rischio di dimenticare brucerebbe di nuovo quelle vite, gli toglierebbe di nuovo la dignità e la vita. Avevo vent’anni quando una rivista mensile o settimanale, non ricordo, uscì con una copertina, ad anticipare uno speciale sullo sterminio, che suscitò tanto dire: una “catasta” di corpi inermi, pelle attaccata alle ossa, visi scavati, righe lacere delle divise, numeri… Ho usato la parola “catasta” di proposito, per la sua semplicità a graffiare con forza. Quella copertina è, ancora oggi, nei miei occhi. No, non dimenticheremo. Raccogliamo il testimone e continuiamo a parlare, a raccontare. Questo è l’urlo di Liliana Segre. No, non dimenticheremo. Promesso! Luisanda Dell'Aria Roma 24 gennaio 2023 Oggi pensavo… dove risiede la nobiltà d’animo?
Una riflessione, un affiorare di ragionamenti dopo un incontro. Il desiderio, che esce prepotente, di raccontare quel qualcosa che abbiamo fatto per qualcun altro, spoglia di nobiltà il gesto, lo lascia orfano della purezza. Quella purezza di cui ha bisogno per riconoscere la sua spontaneità e restare lì, solo, senza clamore, senza applausi, senza compiacenza. E godere del silenzio che si è meritato. È una fatica a volte non raccontare “il fatto”! Abbiamo bisogno di provare l’agio degli sguardi che ci raggiungono. Non è sufficiente il piacere dell’aver “fatto”, cerchiamo il riconoscimento. La fatica è nella rinuncia, ma se c’è volontà non è una rinuncia, è scelta. Il nostro cuore ha parlato, si è mosso, ha agito e ha trovato nel silenzio la carezza più grande, più vera, più sincera. Noi e il nostro cuore: siamo tantissimi: è una festa! A volte è solo il bisogno di sentirsi bravi anche agli occhi degli altri. Di portar fuori la nostra stessa compiacenza. Di poter dire quanto siamo stati utili, necessari… Abbiamo saputo vedere e dare. È come se non ci riconoscessimo. Come se lo raccontassimo a noi stessi alla ricerca di un plauso interiore. Abbi Cura Di Te Luisanda Dell’Aria Roma 22 gennaio 2023 Perché facciamo le fotografie, gli scatti? Io desidero ricordare, fermare momenti che potrei dimenticare, farli diventare concretezza, ricordi, portarmi dietro i sentimenti che sto vivendo. Magari potessimo racchiudere in uno scatto i sentimenti ma in un certo senso è quello che succede. Uno sguardo particolare, una luce leggera, un sorriso, un abbraccio, la famiglia, gli amici per sempre in uno scatto, nell’attimo che non fugge più. Guardare le fotografie diventa così rievocare, rivivere, sorridere e a volte il sorriso può diventare pianto, malinconia e i sentimenti tornano vividi, tornano a quell’attimo; dietro uno scatto c’è una storia, un vissuto, un progetto. O può esserci il disegno di un futuro che non è stato, che ha cambiato strada diventando altro. In quei rettangolini ci siamo noi, come eravamo, come siamo diventati nel trascorrere del tempo e lo stupore a volte colora i nostri occhi nel ritrovarci tanto cambiati. Ma sempre noi, abitati da noi stessi, con i nostri sogni e i nostri desideri, le nostre delusioni e forse qualche rimpianto. Nel giorno per giorno la consapevolezza del tempo si assottiglia, andiamo avanti lasciando indietro una noi che i giorni trascorsi, i mesi, gli anni, hanno cambiata e non siamo capaci di cogliere il dettaglio nell’immediato. Lo vediamo lì nella foto, in quell’attimo catturato che riporta indietro. Un viaggio, questo sono le fotografie, un viaggio nel tempo, nel nostro personale tempo. Un’autobiografia per immagini e si passano le ore a guardarle perché la nostra storia, vista con gli occhi di oggi, dà vita a tanti ragionamenti, commenti, pensieri. Quello che avremmo potuto fare, che abbiamo fatto, quello che non avremmo dovuto fare, quello che è stato e piace ancora oggi, tanto, e fa sorridere. Racchiudono la nostra vita, le nostre emozioni, parlano di noi e anche se siamo soli a fare il viaggio quei rettangolini sono pieni di mille parole che invadono la stanza di aneddoti, di situazioni… una vera cronaca dei fatti tuoi che riempiono e allo stesso tempo svuotano il cuore. I ricordi hanno questo potere: fanno ridere e piangere. Le emozioni vanno e vengono e stai lì, continui a guardare quelle foto e non ti stanchi mai di cercarle.
Abbi Cura Di Te Luisanda Dell’Aria Roma 17 gennaio 2023 Mi chiedo spesso se sono cambiata e come in questi sei anni di cancro. Eh sì, proprio di cancro, non conosco follow up, sono sempre in chemio per tenerlo a bada, per convincerlo a dormire e non farmi smettere di parlare. E per ora riusciamo e relegarlo a un problema che possiamo affrontare, la mia ineguagliabile Dottoressa Lorusso, i miei medici meravigliosi ed io. Ma la domanda mi raggiunge sempre. Come mi ha cambiato? Vado a cercare nel mio passato, chiedo a mia figlia, agli amici, chiedo alla mia penna. La trama è unica, fusa in un dire emozionale che mi consola: sei tu! Ma la penna è andata oltre, involontariamente, con una sincerità insperata. Ho riletto i miei romanzi, racconti, scritti privati, prima del 2016, scoprendo la me stessa di oggi, i miei pensieri, i miei ragionamenti, le mie emozioni. Quando ho ricominciato a scrivere, venti anni fa, e dopo un black out di vent’anni, è stato per bisogno. Se non lo avessi fatto la mia penna sarebbe esplosa nella solitudine dell’incomprensione. Un bisogno interiore forte di portare fuori, di far emergere l’emozione, la voglia di veleggiare sentimenti rendendoli palpabili, toccabili.
Durante quarant’anni di Pubblica Amministrazione la penna è sempre stata la mia compagna più vera. Ho scritto tanto per dipanare matasse, per parlare con i cittadini, per spiegare, per far comprendere cosa c’è e soprattutto chi c’è dietro un grosso apparato troppo spesso vilipeso: persone. Lo Stato siamo noi, noi cittadini e non sempre siamo disposti a capirlo. Non siamo disposti a viverla la cittadinanza attiva, partecipativa. I problemi sono tanti ma tutti insieme possiamo rendere pulsante il nostro Stato. Il discorso sarebbe lungo lo so, ma credere nello Stato e dedicargli quarant’anni di attività è stata la mia bella esperienza che mi fa anche essere quella che sono. Quando vent’anni fa ho dato spazio alla mia penna di scrivere quel che davvero desideravo mi sono sentita finalmente libera. Potevo navigare come volevo nella mia vita, nei miei pensieri, nella mia fantasia. Non ho più smesso. Libera dai dubbi. Libera dalle incertezze. Libera dalle paure. Quali? Di sprecare tempo in un sogno senza fondamenta. Il tempo dedicato a sé stessi (e la scrittura lo è) non è mai sprecato e i sogni non sono mai senza fondamenta. Di non essere capace a scrivere storie che portassero con sé emozioni, nelle quali ci si potesse identificare. Di superare l’incertezza che traspariva da chi sapeva la strada che avevo intrapreso; non tutti fortunatamente, ma qualcuno mi ha messo a dura prova. Credere, credere profondamente in me stessa, nel mio desiderio, nel mio sogno mi teneva stretta per mano e non mi ha mai lasciato. E così quando è stata pronta la bozza di Emozioni Parallele ero pronta a metterci la faccia (è il passo più difficile) e farlo leggere alle persone più vicine a me e delle quali avevo profonda stima. Non nascondo che l’attesa dei loro commenti mi ha provocato una grande agitazione. Uscivo dalla mia zona sicura e andavo all’aperto. Può succedere tutto lì fuori all’aperto. Mia figlia, mia mamma sono state il mio pascolo più rigoglioso. Mettersi in gioco non è facile ma è bellissimo, è elettrizzante. E così dopo i primi commenti positivi lancio il mio romanzo sullo Store Amazon. In un secondo momento una Casa Editrice decide di pubblicarlo. E proprio nel 2016, mentre tutte le finestre e le porte di casa mia sbattevano forte per lo sconquasso portato dall’arrivo del cancro all’ovaio nella mia vita, dedicavo dieci mesi in giro per le presentazioni di Emozioni Parallele, da qualche giorno di nuovo sullo Store Amazon. Ma la penna reclamava a gran voce la mia attenzione. Il più potente degli strumenti che può capitare tra le mani mi voleva e subito. Dovevo parlare alle donne, raccontare, scrivere portare, informazioni sul Cancro all’Ovaio del quale si parla poco e sui suoi sintomi dei quali non si parla mai. Avevo scoperto questa realtà a mie personali spese e non potevo restare zitta. Non potevo non far sapere. Non volevo che altre donne precipitassero su un crinale tanto difficile all’ultimo minuto, inconsapevoli. Gli stessi dubbi, incertezze paure, che mi avevano abitato con Emozioni Parallele, riapparivano come sempre erano apparsi con i racconti, i frammenti e ogni mio scritto. Non mi sono mai lasciata fermare. Il mio desiderio di scrivere, dire, raccontare, prendere la penna in mano e lasciarla andare ha sempre vinto. Io scrivo. Nasce così Abbi Cura Di te. Una lunga lettera a Donna, in nome di tutte le donne, per informarle, renderle consapevoli, dire loro a cosa stare attente. Parlare di cancro non è facile, non vogliamo ascoltare, abbiamo paura. Eppure è successa una cosa inaspettata: Abbi Cura Di Te ha preso il volo. In tantissime donne mi avete scritto e ancora mi scrivete in tante, con molte di voi sono in contatto, giro per l’Italia invitata a parlare di cancro all’ovaio, più di diecimila copie sono state scaricate. Il cancro ha perso, noi abbiamo vinto. Comunque vada, noi abbiamo vinto. L’informazione è la prima forma di prevenzione che può salvare la vita. E ho iniziato a essere tanto presente sui social con i miei post articoli, sì un po' lunghi e un po' fuori dalle regole e indicazioni sulla necessità della brevità. Le oltrepasso le regole e le indicazioni. La penna vola, io scrivo. Sono libera. La penna mi regala tanto. Voi che mi leggete mi regalate tanto. E sapere che può portare, a volte, una carezza, conforto o lo spazio per ritrovarsi permea la mia anima ribelle. E in questo sì, davvero non sono cambiata, continuo a inseguire i miei desideri, i miei sogni; come va va… io li inseguo! Abbi Cura Di te Luisanda Dell’Aria Roma 9 gennaio 2023 #Abbicuradite #losapevidonna #scrivere #scriveresempre #scriverechepassione #leggere #leggeresempre #amarsi #ritrovarsi #scrittura #scrittura consapevole #consapevolezza #benessere #salute #actoonlus #actopiemonte #ilranchdelledonne #zittocancro #viviamo Abbi Cura Di Te gratis al link luisanda-dellaria.weebly.com e Store Amazon Emozioni Parallele Store Amazon |
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