Gli uomini dicono - non è vero che le donne sono vilipese, oltraggiate, sottomesse, ostacolate, violentate, uccise sempre di più, sempre più normalmente. I tempi sono cambiati… dicono. Se ne sentono tante perché i mezzi di comunicazione sono molti più di prima. La realtà non è quella che ci vogliono far credere, è un movimento per arrivare a altro!
Gli uomini non capiscono, non vedono, non sentono, il peso che portiamo addosso per essere nate donne, per voler essere donna, per desiderare di dare al nostro cervello lo spazio che a loro è dato di diritto per nascita.
Gli uomini si sentono provocati dall’intelligenza di una donna, dalla sua autonomia, dalla sua voglia di essere donna in questo mondo. Che si sentono provocati da una gonna, da un rossetto, da una risata, da un tacco.
Gli uomini ancora usano i muscoli. Quelli sanno usare.
Ci scontriamo con la pochezza d’animo, l’inconsistenza etica e morale che spadroneggiano senza meta. E ci facciamo male, tanto male. Il rispetto per l’altro, l’intelligenza, non sono nella loro cassetta degli attrezzi. Piena di ragionamenti e pensieri che li tengono legati a una vita priva di crescita, di conoscenza, di sapere, di comprensione del rispetto per l’altro.
Gli uomini dicono capita anche a loro…!
Cosa? Di uscire di casa e doversi guardare le spalle. Sempre!
Di non poter mai andare sole in un locale.
Di essere destinatarie, tutti i giorni, in ogni dove, di sguardi lascivi. Di ricevere apprezzamenti squalificanti, di aver timore di rincasare tardi dal lavoro, di aver preoccupazione di passeggiare da sole se è buio?
Cosa capita anche a loro… Cosa!
È il furore che conduce oggi la penna su questo foglio. È un furore sordo, potente, travolgente. Ancora una ragazza, Giulia Cecchetin, una giovane ragazza morta ammazzata. Dal suo ragazzo. Giovane ragazzo. Non uno della mia generazione con la testa aggrovigliata nel passato. Un giovane ragazzo.
Non è accettabile. Non riesco ad accettarlo!
Dobbiamo farci delle domande e provare a cercare risposte. Una parte del nostro modo di essere è innato, l’altra parte è frutto dell’educazione che riceviamo, dell’ambiente che frequentiamo, della famiglia tutta. Di cosa ci dicono che è giusto o sbagliato. È lì che dobbiamo andare a cercare il principio della tragedia. Ci saranno stati segnali che non sono stati colti, ai quali non è stata data importanza. Battute, modi di dire… Le battute, i modi di dire sono espressione del nostro interiore. Di chi veramente vorremmo essere mascherato dalle risate.
Gli uomini dicono - Ma io non sono così. E sono stanco di sentirmi additato.
Nessuno si sente così. Ma noi continuiamo a morire ammazzate per mano vostra! Per mano dei vostri limiti, delle vostre incomprensioni, delle vostre frustrazioni, del vostro non saper perdere. Fermi, inchiodati all’asilo: il gioco è mio e basta!
Non avete fatto un passo. Non avete imparato a camminare nella vita accanto alle donne senza sentirvi di meno. Senza sentirvi superati.
E poi ci sono le donne che dicono – Ma a me non è mai capitato niente!
Ho subito quattro aggressioni nella mia vita, fino ad oggi. La prima volta avevo tredici anni. Piazza Crati, quartiere Trieste-Salario, un buon quartiere di Roma. Tornavo a casa con una mia amica. Metà dicembre, il Natale era in arrivo; eravamo andate in giro in cerca di qualche regalino. Abitavamo entrambe a due passi da Piazza Crati.
Quattro ragazzini, nostri coetanei, ci bloccano in un cerchio e iniziano a girarci intorno dicendo parole scomposte e ridendo. Allungavano le mani verso le nostre gambe, ma su verso l’alto. Volevano toccarci.
La mia amica spaventatissima, bloccata. Reagisco. Le dico – Quando te lo dico scappa. Lei mi guarda. Insisto.
Ragiono, dovevo trovare l’attimo giusto.
Do uno spintone fortissimo a uno di loro mentre mi gira davanti, perde l’equilibrio, cade. Incito lei, scappa! Lei va. Inizio con spintoni e calci colpendo dove mi capitava e guadagno la via di fuga anche io. E se non fossi riuscita?
La seconda volta ero decisamente più grande.
Il veterinario del mio cane mi salta addosso accompagnando il gesto da un linguaggio osceno. Brutus era sotto anestesia per aver messo il microchip. Un attimo prima dell’aggressione mi accorgo che sta per succedere qualcosa. Mettermi sulla difensiva mi ha consentito di portare immediatamente le braccia al petto. Mi sono difesa con tutte le mie forze riuscendo a sbatterlo contro l’armadietto dei medicinali. Ho guadagnato l’uscita e per fortuna c’era un passante. Ho chiesto aiuto. Sono rientrata con lui per riprendere il mio cane. Il veterinario era terrorizzato. Lui. Succedeva più di trent’anni fa.
Ho raccontato l’accaduto ad una mia cara amica, era il suo stesso veterinario, per metterla in guardia, per avvisarla. Ha ridimensionato molto la vicenda – Sei una bella donna, con un bel carattere, magari hai mandato messaggi sbagliati e lui si è espresso male fraintendendoti. Quell’amica non la vedo più. Dopo dieci anni mi chiama, rispolvera il ricordo riconoscendo la mia ragione e chiedendomi scusa! Già non la vedevo più.
La terza volta è capitato in ufficio. Un collega. Garbato, gentile, insospettabile. L’ascensore la scena dell’aggressione. Pomeriggio tardi. Approfitta delle mie mani impegnate con i caffè per le colleghe, blocca le mie spalle e tenta di baciarmi. Le mani bloccate e le spalle, ma no le ginocchia. Deficiente! Le porte si aprono. Mi implora il silenzio.
Ne ho parlato con tutte le mie colleghe. Con grande imbarazzo. È quello che ci frega: l’imbarazzo. L’imbarazzo di non essere credute, di aver travisato, di dover dare spiegazioni. Le mie colleghe sapevano. Era conosciuto. Ma non avevano parlato!
La quarta volta è accaduto sotto l’ufficio, dentro la macchina, un pomeriggio di sole e luce. È stata la più violenta. Aveva un cacciavite in mano e mi stava addosso. Fortunatamente anche in questo caso ho saputo reagire, me lo avevano insegnato a un corso di auto difesa.
In una frazione di secondo essere riuscita a portare le gambe piegate al petto mi ha consentito di tenerlo a distanza. E poi ho urlato più forte che potevo. Minuti lunghissimi di confronto serrato.
Smetti di urlare! E io di più! Smetti di urlare! E io di più!
Sono riuscita a metterlo in fuga, quasi indenne. La paura mi è rimasta attaccata addosso per tantissimo tempo. Ho preteso e ottenuto, dopo aver denunciato ai Carabinieri il fatto, che la mia Amministrazione diramasse a tutto il personale un avviso urgente di attenzione per le donne.
Un mio collega, che conoscevo da anni, intuito che ero io la vittima dell’aggressione è venuto a trovarmi. Mi colpirono tanto le sue parole e mi sorpresero – Avevi il tuo solito tubino e i tacchi? L’ho semplicemente guardato accompagnandolo alla porta.
Sono uomini convinti di potersi permettere ogni comportamento, ogni insulto… Non saranno tanto diversi con le loro ragazze, con le loro compagne, con le loro mogli.
Le aggressioni, le parole oscene, le toccatine, le violenze, i femminicidi, nel loro crescendo, sono espressione degli stessi desideri distorti, delle stesse pulsioni incontrollate verso le donne.
Ho raccontato il mio vissuto per tutte quelle donne che dicono – Ma a me non è successo mai niente, credo si esageri un po' con il problema!
A quante è successo e non hanno mai raccontato. Per vergogna. Per pudore. Per non dare spiegazioni. Per non ricevere commenti pesanti da sopportare.
Non si esagera! Non è pensabile che siano le stesse donne a mettere in discussione l’evidenza, prendendo le distanze, non facendo quadrato con le donne.
Se non è successo a te, non significa che non succede. Non significa che non ti debba porre il problema. Non significa che non debba vedere un pochino meglio la realtà che ti circonda.
Se non è successo a te, non significa che non succede. Significa che hai gli occhi spenti, le orecchie serrate, le corde vocali asciutte. Sei nella tua zona confortevole e non esci neanche per un caffè.
Poniti il problema. Come donna, come mamma e nonna se lo sei, come figlia, come sorella.
Come donna, prima di tutto come donna! Per tutte quelle donne che non ce l’hanno fatta a far capire agli uomini di essere persone, di aver diritto al rispetto, di non essere oggetti di proprietà.
La relazione tra un uomo e una donna non è un acquisto al mercato, è un rapporto tra persone. Nessuno acquista o può acquistare la proprietà di un’altra persona affermando di esserne innamorata. Il rapporto deve essere paritario, rispettoso, sincero. Dobbiamo insegnarlo a tutte le ragazze e le donne. Ai nostri figli. E agli uomini.
Molti uomini pensano che la legge sui femminicidi non era e non è necessaria. - L’omicidio è già normato dal codice penale. È un di più che non si comprende. -
Molti uomini pensano che siano troppo alti i toni e le reazioni dell’ordinamento giuridico a tutela delle donne. - Si arriverà a non poter fare più un complimento senza essere fraintesi e destinatari di qualche denuncia. -
Molti uomini sono convinti che i nostri atteggiamenti, i nostri abiti, siano inviti per loro ai limiti della provocazione.
Molti uomini si riempiono la bocca e la mente dicendo – La mia donna! E ci espongono come un trofeo.
Molti uomini non sanno essere uomini, non sanno essere persone.
Con molti di questi uomini, ancora non cresciuti, ancora immaturi, parliamo, ci rapportiamo, intessiamo relazioni tutti i giorni.
Sapete come vengono a galla i pesci? Con il pane. Proviamo a parlare con gli uomini dei problemi delle donne, dei diritti delle donne, della vita delle donne, di come ci sentiamo ancora oggi e ascoltiamo le risposte. Avremo sorprese, forse non belle. Ma sapremo da dove iniziare. È fuori discussione che il lavoro più grande lo dobbiamo fare noi donne, come al solito!
Abbi Cura Di Te
Luisanda Dell’Aria
Roma 19 novembre 2023
Gli uomini non capiscono, non vedono, non sentono, il peso che portiamo addosso per essere nate donne, per voler essere donna, per desiderare di dare al nostro cervello lo spazio che a loro è dato di diritto per nascita.
Gli uomini si sentono provocati dall’intelligenza di una donna, dalla sua autonomia, dalla sua voglia di essere donna in questo mondo. Che si sentono provocati da una gonna, da un rossetto, da una risata, da un tacco.
Gli uomini ancora usano i muscoli. Quelli sanno usare.
Ci scontriamo con la pochezza d’animo, l’inconsistenza etica e morale che spadroneggiano senza meta. E ci facciamo male, tanto male. Il rispetto per l’altro, l’intelligenza, non sono nella loro cassetta degli attrezzi. Piena di ragionamenti e pensieri che li tengono legati a una vita priva di crescita, di conoscenza, di sapere, di comprensione del rispetto per l’altro.
Gli uomini dicono capita anche a loro…!
Cosa? Di uscire di casa e doversi guardare le spalle. Sempre!
Di non poter mai andare sole in un locale.
Di essere destinatarie, tutti i giorni, in ogni dove, di sguardi lascivi. Di ricevere apprezzamenti squalificanti, di aver timore di rincasare tardi dal lavoro, di aver preoccupazione di passeggiare da sole se è buio?
Cosa capita anche a loro… Cosa!
È il furore che conduce oggi la penna su questo foglio. È un furore sordo, potente, travolgente. Ancora una ragazza, Giulia Cecchetin, una giovane ragazza morta ammazzata. Dal suo ragazzo. Giovane ragazzo. Non uno della mia generazione con la testa aggrovigliata nel passato. Un giovane ragazzo.
Non è accettabile. Non riesco ad accettarlo!
Dobbiamo farci delle domande e provare a cercare risposte. Una parte del nostro modo di essere è innato, l’altra parte è frutto dell’educazione che riceviamo, dell’ambiente che frequentiamo, della famiglia tutta. Di cosa ci dicono che è giusto o sbagliato. È lì che dobbiamo andare a cercare il principio della tragedia. Ci saranno stati segnali che non sono stati colti, ai quali non è stata data importanza. Battute, modi di dire… Le battute, i modi di dire sono espressione del nostro interiore. Di chi veramente vorremmo essere mascherato dalle risate.
Gli uomini dicono - Ma io non sono così. E sono stanco di sentirmi additato.
Nessuno si sente così. Ma noi continuiamo a morire ammazzate per mano vostra! Per mano dei vostri limiti, delle vostre incomprensioni, delle vostre frustrazioni, del vostro non saper perdere. Fermi, inchiodati all’asilo: il gioco è mio e basta!
Non avete fatto un passo. Non avete imparato a camminare nella vita accanto alle donne senza sentirvi di meno. Senza sentirvi superati.
E poi ci sono le donne che dicono – Ma a me non è mai capitato niente!
Ho subito quattro aggressioni nella mia vita, fino ad oggi. La prima volta avevo tredici anni. Piazza Crati, quartiere Trieste-Salario, un buon quartiere di Roma. Tornavo a casa con una mia amica. Metà dicembre, il Natale era in arrivo; eravamo andate in giro in cerca di qualche regalino. Abitavamo entrambe a due passi da Piazza Crati.
Quattro ragazzini, nostri coetanei, ci bloccano in un cerchio e iniziano a girarci intorno dicendo parole scomposte e ridendo. Allungavano le mani verso le nostre gambe, ma su verso l’alto. Volevano toccarci.
La mia amica spaventatissima, bloccata. Reagisco. Le dico – Quando te lo dico scappa. Lei mi guarda. Insisto.
Ragiono, dovevo trovare l’attimo giusto.
Do uno spintone fortissimo a uno di loro mentre mi gira davanti, perde l’equilibrio, cade. Incito lei, scappa! Lei va. Inizio con spintoni e calci colpendo dove mi capitava e guadagno la via di fuga anche io. E se non fossi riuscita?
La seconda volta ero decisamente più grande.
Il veterinario del mio cane mi salta addosso accompagnando il gesto da un linguaggio osceno. Brutus era sotto anestesia per aver messo il microchip. Un attimo prima dell’aggressione mi accorgo che sta per succedere qualcosa. Mettermi sulla difensiva mi ha consentito di portare immediatamente le braccia al petto. Mi sono difesa con tutte le mie forze riuscendo a sbatterlo contro l’armadietto dei medicinali. Ho guadagnato l’uscita e per fortuna c’era un passante. Ho chiesto aiuto. Sono rientrata con lui per riprendere il mio cane. Il veterinario era terrorizzato. Lui. Succedeva più di trent’anni fa.
Ho raccontato l’accaduto ad una mia cara amica, era il suo stesso veterinario, per metterla in guardia, per avvisarla. Ha ridimensionato molto la vicenda – Sei una bella donna, con un bel carattere, magari hai mandato messaggi sbagliati e lui si è espresso male fraintendendoti. Quell’amica non la vedo più. Dopo dieci anni mi chiama, rispolvera il ricordo riconoscendo la mia ragione e chiedendomi scusa! Già non la vedevo più.
La terza volta è capitato in ufficio. Un collega. Garbato, gentile, insospettabile. L’ascensore la scena dell’aggressione. Pomeriggio tardi. Approfitta delle mie mani impegnate con i caffè per le colleghe, blocca le mie spalle e tenta di baciarmi. Le mani bloccate e le spalle, ma no le ginocchia. Deficiente! Le porte si aprono. Mi implora il silenzio.
Ne ho parlato con tutte le mie colleghe. Con grande imbarazzo. È quello che ci frega: l’imbarazzo. L’imbarazzo di non essere credute, di aver travisato, di dover dare spiegazioni. Le mie colleghe sapevano. Era conosciuto. Ma non avevano parlato!
La quarta volta è accaduto sotto l’ufficio, dentro la macchina, un pomeriggio di sole e luce. È stata la più violenta. Aveva un cacciavite in mano e mi stava addosso. Fortunatamente anche in questo caso ho saputo reagire, me lo avevano insegnato a un corso di auto difesa.
In una frazione di secondo essere riuscita a portare le gambe piegate al petto mi ha consentito di tenerlo a distanza. E poi ho urlato più forte che potevo. Minuti lunghissimi di confronto serrato.
Smetti di urlare! E io di più! Smetti di urlare! E io di più!
Sono riuscita a metterlo in fuga, quasi indenne. La paura mi è rimasta attaccata addosso per tantissimo tempo. Ho preteso e ottenuto, dopo aver denunciato ai Carabinieri il fatto, che la mia Amministrazione diramasse a tutto il personale un avviso urgente di attenzione per le donne.
Un mio collega, che conoscevo da anni, intuito che ero io la vittima dell’aggressione è venuto a trovarmi. Mi colpirono tanto le sue parole e mi sorpresero – Avevi il tuo solito tubino e i tacchi? L’ho semplicemente guardato accompagnandolo alla porta.
Sono uomini convinti di potersi permettere ogni comportamento, ogni insulto… Non saranno tanto diversi con le loro ragazze, con le loro compagne, con le loro mogli.
Le aggressioni, le parole oscene, le toccatine, le violenze, i femminicidi, nel loro crescendo, sono espressione degli stessi desideri distorti, delle stesse pulsioni incontrollate verso le donne.
Ho raccontato il mio vissuto per tutte quelle donne che dicono – Ma a me non è successo mai niente, credo si esageri un po' con il problema!
A quante è successo e non hanno mai raccontato. Per vergogna. Per pudore. Per non dare spiegazioni. Per non ricevere commenti pesanti da sopportare.
Non si esagera! Non è pensabile che siano le stesse donne a mettere in discussione l’evidenza, prendendo le distanze, non facendo quadrato con le donne.
Se non è successo a te, non significa che non succede. Non significa che non ti debba porre il problema. Non significa che non debba vedere un pochino meglio la realtà che ti circonda.
Se non è successo a te, non significa che non succede. Significa che hai gli occhi spenti, le orecchie serrate, le corde vocali asciutte. Sei nella tua zona confortevole e non esci neanche per un caffè.
Poniti il problema. Come donna, come mamma e nonna se lo sei, come figlia, come sorella.
Come donna, prima di tutto come donna! Per tutte quelle donne che non ce l’hanno fatta a far capire agli uomini di essere persone, di aver diritto al rispetto, di non essere oggetti di proprietà.
La relazione tra un uomo e una donna non è un acquisto al mercato, è un rapporto tra persone. Nessuno acquista o può acquistare la proprietà di un’altra persona affermando di esserne innamorata. Il rapporto deve essere paritario, rispettoso, sincero. Dobbiamo insegnarlo a tutte le ragazze e le donne. Ai nostri figli. E agli uomini.
Molti uomini pensano che la legge sui femminicidi non era e non è necessaria. - L’omicidio è già normato dal codice penale. È un di più che non si comprende. -
Molti uomini pensano che siano troppo alti i toni e le reazioni dell’ordinamento giuridico a tutela delle donne. - Si arriverà a non poter fare più un complimento senza essere fraintesi e destinatari di qualche denuncia. -
Molti uomini sono convinti che i nostri atteggiamenti, i nostri abiti, siano inviti per loro ai limiti della provocazione.
Molti uomini si riempiono la bocca e la mente dicendo – La mia donna! E ci espongono come un trofeo.
Molti uomini non sanno essere uomini, non sanno essere persone.
Con molti di questi uomini, ancora non cresciuti, ancora immaturi, parliamo, ci rapportiamo, intessiamo relazioni tutti i giorni.
Sapete come vengono a galla i pesci? Con il pane. Proviamo a parlare con gli uomini dei problemi delle donne, dei diritti delle donne, della vita delle donne, di come ci sentiamo ancora oggi e ascoltiamo le risposte. Avremo sorprese, forse non belle. Ma sapremo da dove iniziare. È fuori discussione che il lavoro più grande lo dobbiamo fare noi donne, come al solito!
Abbi Cura Di Te
Luisanda Dell’Aria
Roma 19 novembre 2023