di Luisanda Dell'aria
La penna e la carta improvvisamente tra le mani e inizio a scrivere lasciando i pensieri fluire fuori, all’aperto, liberi!
Così inizio questo lunedì di festa, osservando la vita che mi gira intorno, seduta nel bel bar del parco di questo quartiere un po’ su di Roma frequentato principalmente da persone che lo abitano.
Mamma, papà e tre bimbetti, due maschi e una femmina, siedono al tavolino accanto al mio. Stanno decidendo cosa ordinare mentre parlano di qualche impegno che ha il papà nelle ore prossime con un po’ di disattenzione verso il chiacchiericcio dei bambini.
I due maschietti sembrano gemelli, potrebbero avere otto o nove anni, la femminuccia potrebbe essere pochino più grande. Dei due gemelli, uno è molto intraprendente e interrompe spesso il discorso dei genitori. Loro lo guardano e continuano a parlare. Lui sta dicendo a sua moglie che nel pomeriggio dovrà vedere una persona, anche se è festa… è necessario organizzare oggi per domani, l’attività dovrà essere comunque garantita. La moglie comprende anzi è complice in questo impegno.
Qualcosa nel suo atteggiamento mi fa pensare che non lavori o per lo meno è il lavoro del marito, l’asse centrale per la famiglia.
Il figlio maschio, il più intraprendente, sentendo dell’impegno nelle ore successive entra prepotente nella conversazione reclamando ad alta voce intimità familiari “Possibile che non potete mai parlare con noi?”
“Possibile che si debba sempre parlare di lavoro?”
Domande particolari che un bimbo ancora piccolo pone ai suoi genitori.
Tutti gli occhi si girano verso di lui, i due fratelli, i genitori. Con un po’ di sorpresa e un po’ d’invidia per quel coraggio i due fratelli e un po’ di sorpresa e di disappunto per l’insolenza i genitori.
Il papà tace. La mamma supera il silenzio e la sua voce esce bassa ma stridula, punta gli occhi e dice “Per vivere in questo paese è necessario lavorare. Altrimenti dobbiamo cambiare paese!”
Il bambino la guarda con occhi interrogativi ma tace… ha già osato troppo! Forse in cuor suo spera comunque che il suo messaggio sia arrivato. Inizia a bere l’aranciata.
Loro tornano a parlare di lavoro, ora indisturbati, e i bambini con una traccia di fatica rintracciano la loro dimensione e iniziano a giocare… tra loro!
La mia testa invece non si ferma e mi domando se davvero esiste un paese dove si può vivere senza svolgere alcun tipo di attività, senza produrre nulla da dare in cambio per procurarsi il necessario per i propri bisogni personali, senza contribuire in alcun modo alla vita della collettività.
Che messaggio strano stanno dando questi genitori ai propri figli alle soglie della loro adolescenza.
Il nostro è dunque un paese cattivo che obbliga a lavorare per vivere e questo dovere tiene lontani i genitori dai figli?
Alle mie spalle c’è invece una coppia di ragazzi, mi colpisce lei: è la perfetta imitazione di una giovane cantante – nuova scoperta di Sanremo giovani 2012. Cappello di paglia tipo Borsalino, le falde più piccole e il cinturino nero, portato un po’ indietro sulla nuca; i capelli appena sotto le orecchie le incorniciano il viso, la frangetta spunta finta disordinata dal cappello coprendo a tratti la fronte; la montatura in tartaruga degli occhiali da sole, quadrata, però morbida e un po’ grande mette in risalto la punta del naso e le morbide, carnose labbra dipinte di rosso tenue.
Sì, ogni dettaglio del suo abbigliamento è ben studiato e anche il trucco… le somiglia tantissimo a quella cantante.
Chissà perché, a volte, per sentirci noi abbiamo bisogno di somigliare a qualcuno. Cerchiamo sicurezza nella vita e nei successi di altri. Abbiamo bisogno di uniformarci in un pensiero comune per sentirci uguali tra gli altri, per trovare sicurezza.
Le sicurezze sono dentro di noi: dovremmo avere il coraggio di guardare lì.
Già… il coraggio! Di essere se stessi!!
La penna e la carta improvvisamente tra le mani e inizio a scrivere lasciando i pensieri fluire fuori, all’aperto, liberi!
Così inizio questo lunedì di festa, osservando la vita che mi gira intorno, seduta nel bel bar del parco di questo quartiere un po’ su di Roma frequentato principalmente da persone che lo abitano.
Mamma, papà e tre bimbetti, due maschi e una femmina, siedono al tavolino accanto al mio. Stanno decidendo cosa ordinare mentre parlano di qualche impegno che ha il papà nelle ore prossime con un po’ di disattenzione verso il chiacchiericcio dei bambini.
I due maschietti sembrano gemelli, potrebbero avere otto o nove anni, la femminuccia potrebbe essere pochino più grande. Dei due gemelli, uno è molto intraprendente e interrompe spesso il discorso dei genitori. Loro lo guardano e continuano a parlare. Lui sta dicendo a sua moglie che nel pomeriggio dovrà vedere una persona, anche se è festa… è necessario organizzare oggi per domani, l’attività dovrà essere comunque garantita. La moglie comprende anzi è complice in questo impegno.
Qualcosa nel suo atteggiamento mi fa pensare che non lavori o per lo meno è il lavoro del marito, l’asse centrale per la famiglia.
Il figlio maschio, il più intraprendente, sentendo dell’impegno nelle ore successive entra prepotente nella conversazione reclamando ad alta voce intimità familiari “Possibile che non potete mai parlare con noi?”
“Possibile che si debba sempre parlare di lavoro?”
Domande particolari che un bimbo ancora piccolo pone ai suoi genitori.
Tutti gli occhi si girano verso di lui, i due fratelli, i genitori. Con un po’ di sorpresa e un po’ d’invidia per quel coraggio i due fratelli e un po’ di sorpresa e di disappunto per l’insolenza i genitori.
Il papà tace. La mamma supera il silenzio e la sua voce esce bassa ma stridula, punta gli occhi e dice “Per vivere in questo paese è necessario lavorare. Altrimenti dobbiamo cambiare paese!”
Il bambino la guarda con occhi interrogativi ma tace… ha già osato troppo! Forse in cuor suo spera comunque che il suo messaggio sia arrivato. Inizia a bere l’aranciata.
Loro tornano a parlare di lavoro, ora indisturbati, e i bambini con una traccia di fatica rintracciano la loro dimensione e iniziano a giocare… tra loro!
La mia testa invece non si ferma e mi domando se davvero esiste un paese dove si può vivere senza svolgere alcun tipo di attività, senza produrre nulla da dare in cambio per procurarsi il necessario per i propri bisogni personali, senza contribuire in alcun modo alla vita della collettività.
Che messaggio strano stanno dando questi genitori ai propri figli alle soglie della loro adolescenza.
Il nostro è dunque un paese cattivo che obbliga a lavorare per vivere e questo dovere tiene lontani i genitori dai figli?
Alle mie spalle c’è invece una coppia di ragazzi, mi colpisce lei: è la perfetta imitazione di una giovane cantante – nuova scoperta di Sanremo giovani 2012. Cappello di paglia tipo Borsalino, le falde più piccole e il cinturino nero, portato un po’ indietro sulla nuca; i capelli appena sotto le orecchie le incorniciano il viso, la frangetta spunta finta disordinata dal cappello coprendo a tratti la fronte; la montatura in tartaruga degli occhiali da sole, quadrata, però morbida e un po’ grande mette in risalto la punta del naso e le morbide, carnose labbra dipinte di rosso tenue.
Sì, ogni dettaglio del suo abbigliamento è ben studiato e anche il trucco… le somiglia tantissimo a quella cantante.
Chissà perché, a volte, per sentirci noi abbiamo bisogno di somigliare a qualcuno. Cerchiamo sicurezza nella vita e nei successi di altri. Abbiamo bisogno di uniformarci in un pensiero comune per sentirci uguali tra gli altri, per trovare sicurezza.
Le sicurezze sono dentro di noi: dovremmo avere il coraggio di guardare lì.
Già… il coraggio! Di essere se stessi!!